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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato su
www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Ricerche e Tesi di Laurea e di Dottorato

L'utilizzo dei dati di questo blog può essere più proficuo tenendo presente il volume di M. Coltrinari, L. Coltrinari, La Ricostruzione e lo studio di un avvenimento militare, Roma, edizione nuovacultura, 2009, nelle parti:
Capitolo II, b. La tecnica procedurale
Capitolo IV, a. La documetazione a Corredo
Alegato. Schema per una tesi di Laurea o di dottorato
a. L'attività concettuale
b. L'attività gestionale
c. L'attività esecutiva
(ulteriori informazioni scrivere alla email ricerca23@libero.it, )
Il volume è disponibile in tutte lelibrerie e presso la Casa Editrice, Nuova Cultura, al sito www.nuovacultura.it

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lunedì 23 dicembre 2013

Auguri


A tutti i lettori e gli amici di questo blog


I più sinceri auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo

mercoledì 18 dicembre 2013

Australia: accordo bilaterale con gli Stati Uniti

Australia

australia IDU 57

In data 20 Novembre 2013, il Segretario della Difesa statunitense Hagel ha annunciato che, nel mese di dicembre, Australia e Stati Uniti inizieranno il negoziato che porterà alla firma di un accordo bilaterale che disciplini la presenza fissa di truppe americane nel nord dell'Australia, nonché eventuali e future iniziative militari congiunte tra i due Paesi.
La notizia giunge in seguito all'incontro tra Hagel e il Segretario di Stato americano Kerry con i propri omologhi australiani, Julie Bishop e David Johnson, in occasione dei recenti colloqui bilaterali annuali tra i due Paesi.
Il piano americano, annunciato dal Presidente Obama nel novembre 2011, prevede la costituzione di una Marine Air Ground Task Force attraverso il dislocamento di una Marine Expeditionary Unit presso la base di Darwin, nel Territorio del Nord. I Marines presenti in loco sono attualmente 250 e diventeranno circa 1.150 già l'anno prossimo, per poi salire a circa 2.500 entro il biennio 2016/2017.
Secondo fonti delle Forze Armate australiane, alla componente anfibia dovrebbe presto aggiungersi una componente aerea, di stanza presso le basi della Royal Australian Air Force. La componente ad ala rotante dovrebbe includere quattro elicotteri da trasporto pesante ed essere dislocata presso la base di Darwin, mentre la componente ad ala fissa dovrebbe trovare posto presso la base aerea di Tindal e provenire direttamente o dagli Stati Uniti o dalle basi americane in Giappone di Misawa (F-16) e di Kadena (F-15).
Nel 2012 il governo australiano ave! va confermato come le trattative tra i due Paesi includessero anche lo schieramento di droni americani a lungo raggio. Gli UAV, probabilmente RQ-4 Global Hawks destinati a compiti di ricognizione, verrebbero operati dalle Isole di Cocos (Keeling), localizzate al largo dello Sri-Lanka. Nessuna decisione definitiva è stata ancora presa.
L'iniziativa si inserisce chiaramente nel quadro di una razionalizzazione della presenza statunitense a livello globale e di uno spostamento del proprio baricentro strategico verso la regione dell'Asia-Pacifico, in ossequio ad una ritrovata attenzione politica e militare nei confronti dei numerosi fattori di instabilità geopolitica della regione.
Di conseguenza, l'accordo con l'Australia restituirà agli Stati Uniti una presenza stabile e sostanziale nei pressi del Mar Cinese Meridionale, una delle maggiori vie commerciali del mondo. La presenza dei Marines, quindi, è un ulteriore passo avanti verso il rafforzamento del dispositivo militare statunitense nell’intera area, volto a controbilanciare il crescente protagonismo cinese nei confronti dei propri vicini.

giovedì 5 dicembre 2013

Globalizzazione: Sicurezza informatica

Caso Snowden
Crescono i guardiani della sicurezza informatica
Laura Mirachian
27/11/2013
 più piccolopiù grande
Nessuno degli europei negò il proprio fiancheggiamento agli Stati Uniti alla conferenza mondiale sulle telecomunicazioni organizzata in dicembre a Dubai dall’International Telecommunication Union (Itu). Opportunamente, il testo finale non fu messo ai voti per non evidenziare la frattura prodottasi tra Occidente da un lato e Russia e Cina, sostenuti da Brasile, India e larga parte della comunità internazionale dall’altro. La contrapposizione verteva su due punti contenuti da una clausola, solo apparentemente innocua (perché tecnicamente riferibile agli spam). Questa conferiva ai singoli stati il potere di “adottare misure per prevenire comunicazioni elettroniche indesiderate” e anche quello di “ minimizzare il loro impatto sul circuito internazionale delle telecomunicazioni”.

Governare internet
Nè aveva convinto l’escamotage del segretario generale Hamadoun Touré (Mali) di relegare in un allegato il passaggio “to foster an enabling environment for the greater growth of the Internet” (per promuovere un ambiente favorevole per la maggiore crescita di Internet). Si trattava del primo tentativo in assoluto di aprire la strada a un governo internazionale di Internet sotto l’egida dell’Itu, organizzazione collegata alle Nazioni Unite, una vera “rivoluzione” nel controllo dello strumento notoriamente assunto in esclusiva dall’americana Internet corporation for assigned names and numbers (Icann).

Da un lato l’Occidente suonò il campanello d’allarme contro il rischio di legalizzare la censura, così spesso praticata da taluni paesi non propriamente democratici, e a difesa della libertà di comunicazione. Dall’altro, e soprattutto, si preoccupò non poco che l’Itu, sia pur limitandosi a principi generali confinati in un allegato, delineasse l’ipotesi di estendere le proprie competenze allo strumento di Internet, e che si potesse immaginare che nel futuro del funzionamento e sviluppo di Internet entrasse a far parte il resto del mondo. Su 144 partecipanti sottoscrissero l’intesa 89 paesi, fra i quali appunto Cina e gli altri Brics.

Ma la questione rimane di attualità, perché una risoluzione in chiusura di conferenza ha invitato Touré a continuare nei passi necessari per rivestire un ruolo attivo nel modello multilaterale di Internet.

Nuova luce
Il caso Snowden getta ora nuova luce sull’andamento delle dinamiche intorno al governo di Internet. Rivelando che, al di là del “contenzioso” tra Occidente e larga parte della comunità internazionale (Russia e Cina in primis), vivaci recriminazioni esistono anche in ambito occidentale quanto alle modalità della gestione americana della sicurezza.

Pur nella piena condivisione dell’obiettivo di contrasto a terrorismo ed attività illecite, gli europei mostrano forte disagio sulla pervasività delle operazioni della National Security Agency (Nsa) soprattutto nei confronti di paesi alleati, e addirittura delle loro leadership, di cui dovrebbe scontarsi una stretta collaborazione.

Viene infatti in rilievo la protezione di interessi commerciali, di brevetti industriali, di strategie economiche. Al contempo si cerca il necessario equilibrio tra sicurezza e due fondamentali diritti umani, il diritto alla privacy e alla libertà di espressione.

Non è chiaro se sia trattato di applicazione extra-territoriale del Patriot Act, con l’attiva collaborazione di Gran Bretagna e pochi altri “fedelissimi”, ovvero di una sorta di “delega in bianco” più o meno tacitamente conferita a Stati Uniti e Gran Bretagna dagli stessi alleati, e quindi di un gioco delle parti in cui ognuno ha poi dovuto rispondere alle proprie opinioni pubbliche.

Sta di fatto che per la prima volta, gli Stati Uniti si sono trovati a dover giustificare, rassicurare, prospettare rettifiche dei metodi esistenti. E Londra ad inaugurare una trasparenza nei confronti del proprio parlamento senza precedenti. Senza contare l’esibito imbarazzo delle stesse società americane del settore informatico che si sono precipitate a rassicurare clienti e utilizzatori sul rafforzamento dei propri meccanismi interni di protezione dati.

Le più vivaci recriminazioni sono giunte dalla Germania, primissimo produttore di brevetti e principale esportatore al mondo, che, dopo aver tentato di introdurre il capitolo sicurezza informatica nei negoziati Ue-Usa per una Partnership Transatlantica su Commercio e Investimenti ha optato per una risoluzione dell’Onu a difesa della privacy in un’inedita sinergia con il Brasile.

Rischi
E peraltro, voci autorevoli si levano sul rischio che la condotta della Nsa finisca per portare a una “balcanizzazione” di Internet quale risultante di misure statali intese a recintare il mercato nazionale per difenderlo dall’attività di spionaggio. Frontiere digitali, o peggio, protezionismo informatico. Con rischio di danni economici enormi.

Tanto vale, si suggerisce in Europa, che gli Usa adottino rapidamente qualche correttivo quantomeno per sanare le falle più vistose: maggiore trasparenza delle operazioni almeno nei confronti degli alleati, limitazione dei tempi di stoccaggio delle informazioni, nuove tecnologie che consentano a monte una selezione mirata delle informazioni utili. E più oltre, l’avvio di una collaborazione sistemica tra europei e americani finalizzata all’elaborazione di standard comuni, uno “spazio comune” in tema di sicurezza informatica.

L’allarme terrorismo è più attuale che mai e la partita troppo vitale per l’Occidente per non cogliere l’opportunità di un chiarimento che porti al rafforzamento delle alleanze tradizionali. Al Consiglio europeo di ottobre, un’iniziativa è stata annunciata da Germania e Francia in tal senso. Che sia scattata l’ora della condivisione?

Il caso Snowden parrebbe, in ogni caso, aver avuto l’effetto di minare la dominanza Usa in tema di sicurezza informatica nel mondo. E si spinge a prefigurare un “rebalancing” anche in questo settore, come già avvenuto per l’economia e i commerci, trainato da Brasile e altri Brics. Snowden potrebbe aver offerto un’occasione d’oro ai “nuovi arrivati”, ai quali certo non sfugge che chi controlla Internet controlla il mondo.

Laura Mirachian è Ambasciatore, già Rappresentante Permanente presso Nazioni Unite e Organizzazioni Internazionali a Ginevra.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2469#sthash.mxTlAlrw.dpuf

giovedì 28 novembre 2013

Società Geografia Italiana: Eventi Dicembre


mercoledì 4 dicembre 2013, alle ore 17.30, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzetto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), in occasione della XII Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, l’Assessore alla Cultura, Politiche giovanili della Regione Lazio, On. Lidia Ravera, e il Presidentedella Società Geografica Italiana, Prof. Sergio Conti, sono lieti di invitare la S.V. alla presentazione del volume di Roberto Pasca di Magliano “Percorsi dello sviluppo” (2013, Roma – Edizioni Nuova Cultura)

giovedì 5 dicembre 2013, alle ore 16.00, nella Sala Turchese di Palazzo dei Congressi dell’EUR (Roma – Piazzale Kennedy n. 1), in occasione della XII Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, sarà presentato il volume a cura di Simone Bozzato e Nadia Fusco, con fotografie di Stefano Costa, “La Via Egnatia: fotografie da un itinerario culturale” (2013, Roma – Società Geografica Italiana e Fondazione RomaMediterraneo)

mercoledì 11 dicembre 2013, alle ore 17.00, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzetto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), verrà presentato il volume di Mauro Spotorno “Atlante Ortofotocartografico 2D e 3D dei centri storici della provincia di Savona”

giovedì 12 dicembre 2013, alle ore 17.00, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzotto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), sarà presentato il volume di Paolo Sellari “Geopolitica dei Trasporti” (2013, Bari – Laterza)

mercoledì 18 dicembre 2013, alle ore 10.30, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzetto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), si terrà il dibattito dal titolo “Geografia fantastica - Fantastica geografia. Viaggio nel Piccolo Principe a 70 anni dalla sua pubblicazione tra fantasia, geografia, deserti, pianeti e rose”. Nell’occasione verranno letti brani di “Er Principetto”, traduzione in romanesco dell’opera di Antoine de Saint-Exupéry e verrà allestita una mostra di edizioni dell’Opera in varie lingue

mercoledì 18 dicembre 2013, alle ore 16.00, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzetto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), si terrà il seminario dal titolo “Spazio e potere. Riflessioni geopolitiche su “Il Principe” di Niccolò Machiavelli” in occasione del V Centenario della pubblicazione

venerdì 20 dicembre 2013, alle ore 17.00, in occasione delle prossime festività natalizie, verrà celebrata la S. Messa nella Basilica Parrocchiale di Santa Maria in Domenica (Via della Navicella, 10). Alle ore 18.00, nell’Aula “Giuseppe Dalla Vedova” di Palazzetto Mattei in Villa Celimontana (Roma – Via della Navicella n. 12), la Schola cantorum della Cappella Musicale della Basilica di San Clemente in Roma, diretto dal M° Mario Bassani, eseguirà il concerto di Natale; a seguire verranno sorteggiati gli oggetti da collezione tra i Soci che al 15 gennaio risultavano in regola con la quota sociale 2013; inoltre verranno assegnati dei riconoscimenti speciali a quanti hanno contribuito, in questi ultimi anni, ad implementare il patrimonio culturale sociale con la donazione di fondi librari, cartografici e fotografici.
            Cordiali saluti,

la Segreteria della Società Geografica Italiana Onlus

martedì 26 novembre 2013

Australia: rapporti difficli con l'Indonesia

Indonesia
Indonesia 129
Il governo di Jakarta ha deciso, il 20 novembre, di sospendere il programma di cooperazione militare con l’Australia in seguito alle rivelazioni riguardo l’attività di spionaggio da parte dei servizi di intelligence di Canberra, che avrebbero portato, nel 2009, all’intercettazione del Presidente Susilo Bambang Yudhoyono, del Vicepresidente, Boediono, e di alcuni membri dell’esecutivo allora in carica. La decisione, giunta il giorno successivo al richiamo dell’ambasciatore indonesiano in Australia, segna una brusca interruzione delle relazioni bilaterali, che avevano già conosciuto un progressivo peggioramento a partire dallo scorso settembre. In seguito all’elezione del Primo Ministro conservatore, Tony Abbott, infatti, Canberra ha intensificato le pressioni sul governo indonesiano per limitare il flusso di migranti, provenienti dal Sudest Asiatico, dal Medio Oriente e dall’Afghanistan! , che salpano dalle coste dell’Indonesia in direzione dell’Australia. L’interruzione dei rapporti militari, che dovrebbe diventare effettiva dall’inizio del prossimo anno, potrebbe andare a inficiare gli sforzi congiunti attuati proprio per far fronte al problema del traffico di esseri umani nelle acque dell’Oceano Indiano. Se confermata, infatti, la decisione potrebbe comportare anche la sospensione della collaborazione in ambito di intelligence e di condivisioni di informazioni, nonché delle operazioni congiunte delle rispettive Forze di polizia, con forti ripercussioni sulla sicurezza interna di entrambi i Paesi.

venerdì 25 ottobre 2013

Asia-Pacifico: il riequilibrio

L’India, parzialmente affrancata dalle limitazioni di carattere politico ed economico che pregiudicavano le possibilità di espandere la sua influenza e interessata alla propria sicurezza strategica, è naturalmente portata a focalizzare l’attenzione sull’Oceano Indiano e sulle questioni regionali. Oggi la maggiore preoccupazione del paese è da rintracciarsi nel timore dell’ascesa cinese, cui Nuova Delhi cerca di opporre una nuova strategia regionale e un rafforzamento dei rapporti con gli Stati Uniti. Politica evidentemente gradita a Washington, il cui interesse nel recuperare in Asia il ruolo di attore di riferimento in chiave anti-cinese è ormai manifesto e ampiamente confermato.
La “dottrina marittima” del 2007 sottolinea il ruolo centrale che il pensiero strategico indiano assegna all’Oceano Indiano e la determinazione di esercitare una certa influenza sull’intera regione. Per ottenere maggiore spazio e autonomia, Nuova Delhi è impegnata da qualche anno a sviluppare le sue forze navali ed aeree, così come a siglare con i paesi dell’Oceano Indiano e del sud-est asiatico accordi che includano migliori condizioni commerciali, esercitazioni militari congiunte, aiuti allo sviluppo e cooperazione energetica in vista della costruzione di nuove infrastrutture. Il paese si è impegnato – oltre che nel migliorare le relazioni con gli Stati Uniti – ad assicurarsi il controllo dei vari varchi d’accesso all’Oceano Indiano coltivando i rapporti con i paesi adiacenti alle aree di transito strategico: per esempio lo Stretto di Hormuz che ha spinto l’India ad approfondire negli anni i rapporti con il governo iraniano, e gli Stretti di Singapore e Malacca che hanno portato rispettivamente ad un avvicinamento con Singapore e la Thailandia.
Tra la Thailandia e l’India fu creata un’area di libero scambio già nel 2003 e da allora le relazioni tra i due paesi si sono sviluppate anche grazie alle crescenti preoccupazioni di Bangkok per la presenza di militanti islamici nel sud del paese. Ufficiali dell’intelligence di entrambi i paesi hanno avviato una collaborazione fatta d’intensificazione dei contatti e di coordinamento tra le forze armate in relazione all’area dello Stretto di Malacca. È plausibile credere che Bangkok guardi con interesse all’ascesa dell’India, essendo storicamente contraria a che singole potenze – ci riferiamo principalmente alla Cina – conquistino una posizione d’incontrastata egemonia nella regione. È da iscrivere in questo quadro il sostegno accordato dal governo thailandese al tentativo indiano – recentemente rafforzato – di ritagliarsi nel Myanmar un’area d’influenza potenzialmente competitiva per Pechino.
Dato fondamentale per comprendere i movimenti indiani in questo senso è l’impegno del paese nella creazione di nuovi raggruppamenti regionali, tra cui il peso maggiore va probabilmente riconosciuto alla BIMSTEC (Bay of Bengal Initiative for Multi-Sectoral Technical and Economic Cooperation – Iniziativa del Golfo del Bengala per la cooperazione tecnica ed economica multisettoriale). La BIMSTEC è un organismo internazionale, costituito nel luglio 2004, di cui sono membri Bangladesh, Myanmar, Sri Lanka, Bhutan, Nepal, India e Thailandia. All’interno dell’organismo gli ultimi due paesi menzionati ricoprono indubbiamente un ruolo trainante di primaria importanza. La BIMSTEC mira a combinare la politica “Look West” della Thailandia con la “Look East” dell’India, e potrebbe rappresentare per Nuova Delhi uno strumento fondamentale di cooperazione e sicurezza regionale.
Rispetto alle relazioni del governo indiano con il vicino thailandese, si è registrato a partire dal 2011 un incremento significativo di contatti ed il reale consolidamento dei rapporti bilaterali pre-esistenti. L’India e la Thailandia hanno cooperato in relazione a piattaforme molto differenti, privilegiando interazioni che vedessero coinvolte le principali organizzazioni multilaterali dell’area: ASEAN, Est Asia Summit e BIMSTEC. La prova più evidente della reciproca cooperazione è stata la conclusione, il 30 maggio 2013, del trattato che garantisce una base legislativa per l’estradizione legale di soggetti ricercati e coinvolti in attività terroristiche, crimini internazionali e reati di natura economica e patrimoniale. Il trattato è stato esplicitamente accolto come il segnale della ferma volontà dei due paesi di estendere e rafforzare le proprie agenzie, creando una base legislativa su cui esercitare la collaborazione bilaterale. Altro segnale di rilievo è la firma di un ulteriore trattato tra l’unità indiana d’intelligence finanziaria e l’analoga organizzazione thailandese. L’accordo permetterà lo scambio d’informazioni strategiche riguardanti il riciclaggio di denaro e il finanziamento ad attività terroristiche.
I legami che i due paesi hanno progressivamente stretto tra loro sembrano iscriversi in un quadro ben delineato, che passa attraverso i recenti mutamenti politici dei paesi vicini e gli interessi di entrambi i governi nella costruzione d’infrastrutture che facilitino i commerci e salvaguardino il perdurare delle condizioni di sicurezza nell’area. Il punto focale delle future relazioni tra Bangkok e Nuova Delhi riguarderà probabilmente gli accordi per realizzare nuovi corridoi di transito lungo la linea che collega India e Thailandia attraverso il Myanmar.
Agli accordi già citati va aggiunto l’interesse espresso da entrambi i governi nel perseguire una più stretta collaborazione delle industrie strategiche e di difesa negli ambiti di rispettivo interesse. L’apertura indiana su una possibile cooperazione in questo settore è stata espressa dal ministro della difesa A.K. Antony nel corso della sua recente visita in Thailandia. Durante l’incontro sono state analizzate le condizioni di sicurezza dell’area e gli attuali punti critici, nonché ribadita la necessità d’implementare ogni forma di collaborazione che possa garantire stabilità, sicurezza regionale e libertà delle navigazioni. L’impegno indiano in questo senso, ossia quello di ridisegnare una stabile e influente presenza regionale, ha inoltre spinto il governo di Nuova Delhi ad avviare più strette relazioni anche con l’Australia. Gli accordi di cooperazione tra India e Thailandia avranno probabilmente ripercussioni tanto in chiave internazionale quanto rispetto agli sviluppi dei diversi equilibri regionali.
Come già accennato, una spinta a stringere le relazioni con il vicino indiano è venuta, per la Thailandia, anche dalla necessità di trovare una soluzione ai conflitti che da anni investono il sud del paese. Il problema della guerriglia separatista islamica è una ferita aperta nella storia thailandese, nonostante i reiterati tentativi ad opera della stampa e degli ambienti governativi di minimizzare il problema. L’azione dei gruppi separatisti musulmani, in uno Stato a maggioranza buddista come la Thailandia, si concentra principalmente nella parte meridionale del paese, cioè nelle quattro province di Songkhla, Pattani, Yala e Narathiwat, al confine con la Malesia. Qui la popolazione di etnia malese non ha mai accettato pienamente la sovranità del governo thailandese e per decenni ha rivendicato una maggiore autonomia da Bangkok. Il gruppo separatista più attivo e ampiamente sostenuto dalla popolazione malese è il PULO (Pattani United Liberation Organization), fondato nel 1968 e dedito ad attività sia di propaganda politica che di guerriglia. Il governo thailandese accusa i gruppi separatisti di legami con il terrorismo internazionale e con altre organizzazioni islamiche, mentre la vicina Malesia è sospettata di finanziare e dare asilo agli insorti. Ad incoraggiare la possibilità di pace in Thailandia, nonché l’eventualità di giungere ad un accordo, c’è il compromesso raggiunto tra i gruppi separatisti islamici operanti nelle Filippine e il governo di Manila grazie alla mediazione della Malesia. Il governo thailandese ha inviato una delegazione a Kuala Lumpur per sondare la disponibilità della Malesia a impegnarsi in un secondo intervento pacificatore. Nell’ottica di garantire una positiva risoluzione del conflitto, l’accordo della Thailandia con l’India potrebbe avere una rilevanza tanto rispetto alla prevista collaborazione in materia di lotta al terrorismo di matrice islamica (problema che investe direttamente anche il governo di Nuova Delhi) quando in relazione all’accordo concluso sull’estradizione.
La strategia indiana ha poi una sua fondamentale importanza in previsione dei possibili riallineamenti futuri dell’area ed è collegata al confronto diretto ed indiretto tra Stati Uniti e Cina, nonché in relazione ad una sempre maggiore convergenza degli interessi di India e Stati Uniti nel consolidare le proprie relazioni.
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Obama hanno rilanciato una serie di iniziative di cooperazione in Asia, in particolare nel Pacifico e con l’India. La presenza statunitense nella regione non è in realtà mai venuta meno, gli Stati Uniti sono infatti legati da un’alleanza militare con cinque paesi nell’area dell’Asia-Pacifico – Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Thailandia – ed hanno avviato un partenariato in materia di sicurezza anche con Singapore.
Il recente ritorno dell’interesse statunitense in Asia, parallelamente all’ascesa cinese, si presenta come un elemento chiave per comprendere i recenti cambiamenti di equilibrio nell’area e pongono inoltre delle sfide non secondarie agli Stati minori della regione.
Una necessità primaria, che si impone oggi a molti paesi asiatici, è quella di decidere se rinunciare o meno ad una politica estera volta a conservare buoni rapporti e mantenere una posizione equilibrata tra le due potenze, oppure schierarsi più apertamente al fianco di una delle due. Una scelta difficile e a sua volta legata all’evoluzione di almeno tre variabili: le modalità con cui Washington deciderà di consolidare la sua presenza regionale, la credibilità della politica di potenza annunciata dalla Cina di Xi Jinping, e in qualche caso il peso che assumeranno i singoli interessi nazionali nella definizione delle direttive di politica estera dei diversi paesi. Gli elementi che aiuteranno i paesi dell’area del Pacifico a valutare la credibilità dell’ascesa regionale della Cina di Xi Jinping non saranno naturalmente le sole dichiarazioni ufficiali, tra le quali riveste un peso particolare quella relativa alla trasformazione della Repubblica Popolare Cinese in una grande potenza marittima, ma anche e soprattutto l’attenzione che la nuovaleadership riserverà ai problemi economici e sociali di ordine interno. Se Pechino dovesse riuscire a raggiungere i suoi obiettivi e a risolvere i numerosi problemi interni, è probabile che qualsiasi scelta di riallineamento rispetto agli Stati Uniti ne uscirebbe penalizzata e molto indebolita. Un ulteriore rafforzamento della posizione cinese potrebbe porre delle problematiche non secondarie rispetto alla sicurezza regionale, visto che ormai da decenni permangono controverse rivendicazioni territoriali sulle isole del Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino e dei paesi minori del sud-est asiatico; in molte delle aree oggetto di contesa è accertata la presenza d’importanti fonti di approvvigionamento energetico, oggi indispensabili per sostenere il crescente sviluppo economico della regione.
La questione energetica, va necessariamente considerata ed acquisisce particolare importanza per analizzare le azioni e le prospettive dei governi asiatici. Le maggiori controversie in tal senso sono legate alla volontà di mantenere ed implementare il controllo marittimo su aree di fondamentale rilevanza strategica per gli approvvigionamenti energetici e per lo sviluppo commerciale. Le regioni sulle quali si sviluppa questa partita sono principalmente due: lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale.
Passa dallo Stretto di Malacca più dell’80% delle importazioni cinesi di greggio, di conseguenza un qualsiasi blocco di questo nodo strategico causerebbe gravissimi danni all’economica cinese. Per scongiurare una simile eventualità il governo cinese si è impegnato nel corso degli anni ad elaborare strategie che permettessero maggiore autonomia rispetto allo Stretto. S’inseriscono in quest’ottica sia l’investimento cinese nel porto di Gwadar, in Pakistan, che potrebbe essere collegato con un oleodotto alla provincia cinese dello Xinjang, sia i tentativi d’investire in Mynamar e in Thailandia per realizzarepipeline ed infrastrutture che permettano ai traffici commerciali e ai collegamenti energetici di seguire percorsi alternativi alle vie marittime. Rispetto alla Thailandia vanno segnalati gli sforzi cinesi per portare a compimento un canale che attraversi l’Istmo di Kra, consentendo alle navi di evitare il passaggio per Malacca. Il progetto del canale garantirebbe alla Cina impianti portuali, magazzini e altre infrastrutture in Thailandia, volte a rafforzare l’influenza cinese nella regione. Le trattative per la realizzazione dell’opera sono in ogni caso sospese dal 2006.
Rispetto allo Stretto di Malacca, l’India intende stabilire la propria influenza nei confronti della rotta che va dal Golfo Persico all’Estremo Oriente. Il ruolo è garantito anche dall’impegno messo in campo dal governo indiano per rafforzare i rapporti multilaterali con le marine militari di paesi come Myanmar, Singapore, Indonesia, Vietnam, Thailandia, Malesia e Australia. L’ulteriore approfondimento delle relazioni con la Thailandia, cui si è affiancata la volontà di proseguire verso accordi strategici e di difesa, rafforza la posizione indiana nello Stretto, permettendo all’India di controllare potenzialmente un’area di vitale importanza per l’economia e gli interessi cinesi. L’accordo tra India e Thailandia va di pari passo con le recenti relazioni di quest’ultimo paese con gli Stati Uniti. Rapporti che si prefigurano come adempimento diretto della nuova strategia statunitense in Asia annunciata da Obama, e che si focalizzano sulla necessità di contenere l’ascesa cinese.
Le questioni relative al Mar Cinese Meridionale, sono se possibile anche più complesse. In passato l’India ha affrontato più volte diplomaticamente la Cina, responsabile del blocco ai danni delle esplorazioni indiane di gas e petrolio in prossimità della costa vietnamita. I diversi scontri/confronti diplomatici che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno creato una situazione tesa tra Cina, Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan, che si contendono territori e zone marittime in queste acque. Il Mar Cinese Meridionale è la rotta più breve per le linee di navigazione fra India e Cina e le rispettive periferie (Golfo Persico, Giappone e Corea). Su questo mare sono presenti due arcipelaghi oggetto di disputa territoriale da parte di tutti gli Stati coinvolti: le isole Paracel e Spratly. Tra le nazioni in esame, il Vietnam ha un ruolo di primo piano alla luce delle sue capacità militari, economiche e demografiche che potranno renderlo, in futuro, una (media) potenza regionale nell’ambito del sud-est asiatico.
L’Indonesia non ha contenziosi territoriali diretti: esiste una sovrapposizione tra le rivendicazioni con il Vietnam, ma i due governi si sono già dichiarati disponibili a risolvere il problema in modo pacifico tramite dialoghi interministeriali ed eventualmente con l’istituzione di una commissione ad hoc. I rapporti tra i due paesi sono molto forti sia per alcune somiglianze di carattere politico ed economico, sia per la presenza di una comune percezione nei confronti della Cina. Da sempre Jakarta compete con Pechino nel sud-est asiatico e le mire espansionistiche di quest’ultima si conciliano poco con le ambizioni indonesiane. I rapporti tra Vietnam e Indonesia sembrano in fase di progressivo rafforzamento e non è da escludere che questi due paesi non si avvicinino agli Stati Uniti acquistando un’importanza anche maggiore di Thailandia e Filippine. Infine, è da segnalare che, oltre agli Stati Uniti, anche l’Australia e l’India premono per una soluzione del contenzioso tendenzialmente a svantaggio di Pechino, sostenendo implicitamente le rivendicazioni degli altri paesi appena descritti e presentandosi agli stessi come possibili alleati in funzione anti-cinese.
Da quanto detto possiamo concludere che l’avvicinamento tra India e Thailandia, inserendosi all’interno di un più complesso contesto regionale, nonché al centro del confronto (in)diretto tra Stati Uniti e Cina, appare perfettamente coerente con la strategia statunitense e sembra preannunciare una possibile evoluzione di molti rapporti dell’area. Se gli Stati Uniti dovessero riuscire a portare a compimento un’efficace strategia di contenimento del gigante cinese, e se l’India riuscisse a diventare il fulcro di tale strategia, superando parte dei problemi interni che l’hanno fino ad ora limitata, molti paesi della regione sceglierebbero probabilmente di abbandonare la politica di “mediazione” tra le due grandi potenze contendenti, e potrebbero avviare una nuova politica estera di avvicinamento agli Stati Uniti ed agli alleati di Washington nella regione; eventualità che presenterebbe non poche incognite, ma anche degli “ostacoli” per la strategia cinese nell’area.

Marlène Mauro è laureanda in Relazioni Internazionali (Università degli Studi Roma Tre) e stagista del programma "Asia Meridionale" dell'IsAG.

lunedì 14 ottobre 2013

Il Volume dedicato a H.J. Mackinder

Halford John Mackinder: Dalla geografia alla geopolitica
Autore: Daniele Scalea
Editore: Fuoco Edizioni & IsAG, Roma 2013
Collana: Heartland – Collana di teoria e storia della geopolitica
Caratteristiche: 388 pagine, cartografie b/n di Lorenzo Giovannini, prefazioni di Tiberio Graziani e Alfredo Canavero
ISBN: 9-78889736368-2
Dalla quarta di copertina:
Halford J. Mackinder (1861-1947) è stato un uomo dalle molteplici carriere: geografo, è considerato il fondatore moderno della disciplina in Gran Bretagna; educatore, ha creato l’Università di Reading e consolidato la London School of Economics come suo secondo direttore; esploratore, è stato il primo uomo a scalare il Monte Kenya, la seconda vetta africana; politico, ha seduto in Parlamento e ricevuto diversi incarichi ufficiali, tra cui quello d’Alto Commissario britannico nella Russia Meridionale sconvolta dalla guerra civile. Malgrado una carriera così ricca e polivalente, Mackinder è però oggi noto principalmente come uno degli autori “classici” della geopolitica. La sua influenza su Karl Haushofer e la Geopolitik tedesca è ben nota, ma più o meno tutte le scuole strategiche del mondo sono state influenzate dagli scritti di Mackinder. Eppure, le opere su di lui sono scarse e in Italia quasi inesistenti, sicché sovente l’autore britannico è conosciuto indirettamente per tramite di vulgate banalizzanti. Questo libro, con l’ausilio di documenti d’archivio autografi di Mackinder e un’attenta analisi dei suoi scritti pubblicati, mira a colmare tale vuoto.
L’Autore:
Daniele Scalea è Direttore Generale dell’IsAG e Condirettore di “Geopolitica”. Halford John Mackinder è il suo terzo libro.
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sabato 15 giugno 2013

Australia: sotto attacco cyber


Australia IDU53

Nel corso dell’ultima settimana di maggio sono stati divulgati dei report decisamente preoccupanti circa i risultati delle attività di cyberspionaggio di matrice cinese ai danni rispettivamente di Australia e Stati Uniti. Nel primo caso le autorità australiane hanno accertato che i piani di costruzione del nuovo quartier generale del servizio di sicurezza interna australiano (Australia Security Intelligence Organization – ASIO) sono stati compromessi da hacker cinesi che hanno attaccato i computer di un subappaltatore impossessandosi non solo del progetto dell’edificio, ma anche di tutte le mappe relative alla disposizione dei cablaggi e delle reti di comunicazione. Nel secondo, è stato reso noto un report del Defence Science Board statunitense al Presidente Obama che, pur non accusando apertamente la Cina, ha certificato la compromissione dei design costruttivi di poco meno di una trentina di sistemi d’arma americani tra i quali i mi! ssili Patriot, il sistema antibalistico AEGIS e l’F-35 Joint Strike Fighter. Questi due ultimi eventi hanno ulteriormente dimostrato la necessità dei Paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, di rafforzare le proprie capacità di cyberwarfare sia in chiave difensiva che offensiva. Questo in un’ottica che vede ormai apertamente la Cina come primo nemico da contrastare. L’emblema di questo nuovo corso è rappresentato dalla dichiarazione del 1° Giugno, del Segretario alla Difesa americano Chuck Hagel, in cui ha chiaramente definito la minaccia di cyber attacchi come la sfida maggiore per le Forze Armate statunitensi ed i loro alleati, rimarcando come parte dei tentativi di intrusione sembrino provenire da ambienti legati al governo e alle Forze Armate cinesi.

venerdì 31 maggio 2013

Un Asteroide in avvicinamento verso a Terra

Allarme degli scienziati americani.Un asteroide di 2,7 km di larghezza si avvicinerà alla terrà venerdì, passando alla distanza di 5,8 milioni di km dal nostro pianeta che è circa 15 volte la distanza tra la terra e la luna.
Secondo l'osservatorio della Nasa, le probabilità che colpisca la Terra sono una su 4.550. Il che non garantisce che non arriverà. E bisogna anche considerare che il percorso orbitale dell'asteroide potrebbe variare e, quindi, dirigersi verso il nostro pianeta oppure allontanarsene definitivamente.
Tuttavia, il transito a distanza relativamente breve permetterà agli astronomi di studiare le caratteristiche dell’asteroide con i telescopi ad alta risoluzione: ciò consentirà non solo di meglio comprendere le origini dell’oggetto celeste, ma anche di migliorare la precisione dei dati orbitali in modo da prevederne la traiettoria futura e i potenziali rischi.

Le previsioni su quali oggetti possano in futuro rappresentare un pericolo è infatti molto difficile, così come ogni eventuale intervento dato lo scarso preavviso: a causa della bassa albedo (capacità di riflessione) della loro superficie gli asteroidi sono di norma virtualmente invisibili agli strumenti ottici a meno di non passare davanti a un corpo luminoso, e troppo piccoli per causare effetti gravitazionali osservabili.
La collisione di un asteroide di dimensioni significative (oltre 45 metri di diametro) è comunque un evento raro -circa tre ogni mille anni - ma potenzialmente in grado di causare gravi disastri naturali. Al momento la Nasa ha identificato cinque oggetti sufficientemente massicci da costituire un rischio e con una possibilità di collisione superiore a una su un milione: in particolare vengono tenuti d’occhio un asteroide del diametro di 130 metri con una probabilità su tremila di colpire la Terra nel 2048 e soprattutto “Apophis”, con una possibilità su 43mila di collisione nel 2029 e nei successivi passaggi del 2036, 2037 e 2069.

lunedì 6 maggio 2013

Conferenza al Planetario di Milano


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                      L'ORIGINE DELL'UNIVERSO
                  Una breve storia della Cosmologia 
               e alcune questioni riguardanti l'inizio
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                    Martedi' 7 maggio ore 21:00

                         Gabriele Gionti

              Specola Vaticana, Citta' del Vaticano
                      University of Arizona


Lo scopo di questo seminario e' di esporre uno sviluppo storico 
della cosmologia nella cultura occidentale fino ad arrivare ai 
giorni nostri con la teoria del Big Bang e le relative 
problematiche inerenti alle questioni di un inizio. 
A tale scopo si comincera' con il modello di cosmologia presente 
nella cultura dell'antica Grecia e quello presente nell'Antico 
Testamento (semitico). Poi si passera' al modello tolemaico fino 
al suo momento di crisi e all'apparire del modello copernicano e, 
quindi, i relativi risultati di Galilei. In seguito si vedra' come 
la nuova teoria di Newton ha introdotto una visione meccanicistica 
dell'Universo fino al modello cosmologico di Kant-Laplace. 
La successiva formulazione della Relativita' Generale di Einstein 
ha rivoluzionato i precedenti modelli cosmologici con la scoperta 
dell'evoluzione dell'universo (allontanamento delle galassie fra 
di loro). Si esamineranno quelle che furono le due teorie 
antagoniste: lo stato stazionario e il Big-Bang, evidenziando 
anche alcuni problemi, che tuttora esistono, connessi con la 
questione dell'inizio dell'universo.

mercoledì 23 gennaio 2013

SCO: può espandersi verso il Pacifico?


Il crescere costante delle tensioni nel mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale perla disputa di isolette e scoglio può far nascere l'ipotesi di una espansione, ancorchè in qualità di osservatori della SCO , e suoi possibili evoluzioni, verso il Pacifico sia centrale che meridionale. Si riporta una scheda che descrive la SCO nelle sue origini.

La Shanghai Cooperation Organization:  Organizzazione regionale di potenze globali.

A partire dal 1986 era stata avviata un’iniziativa di soluzione delle dispute di confine (conosciuta come l’iniziativa di Vladivostok, sostenuta da Gorbaciov). I negoziati proseguirono tra il 1991 e il 1994 tanto che si ebbe, il 26 aprile 1996, l’Accordo di Shanghai “sul rafforzamento delle misure di fiducia reciproca nelle aree di confine” (cd. Forum “Shanghai Five” con Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan). Il 24 aprile 1997 a Mosca si siglò un altro accordo “sulla riduzione reciproca delle forze militari nelle aree di confine”.
Successivamente, infine, si tennero i Vertici di Almaty e di Bishkek (3 luglio 1998 e 24-25 agosto 1999).

1. Lo sviluppo.

Nel 2001 il Forum diventa Organizzazione, con l’adesione dell’Uzbekistan, quale membro a pieno titolo.
Gli scopi perseguiti della neonata Organizzazione sono i seguenti:
·       promuovere la cooperazione attraverso i rapporti di buon vicinato e di collaborazione nei settori della vita sociale;
·       risolvere i contenziosi sorti lungo i 3.645 km di confine sino-russo e quelli con i Paesi dell’Asia Centrale ex sovietici;
·       combattere i “tre mali”: terrorismo, estremismo religioso e separatismo nella regione;
·       concorrere a costruire un nuovo ordine internazionale fondato sul multipolarismo in una concezione multipolare delle relazioni internazionali.
Lo spirito di Shangai è un insieme di fiducia reciproca, relazioni di buon vicinato con il desiderio di mettere in comune il meglio di ciascun Paese a favore di tutti gli altri.
Tutti i membri si impegnano reciprocamente a combattere qualsiasi forma di eversione dell’ordine statale e regionale in vista del mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionale che possa assicurare l’indipendenza reciproca, la sovranità territoriale, la non interferenza negli affari interni degli Stati membri, attraverso il rifiuto della minaccia o dell’uso della violenza.

2. Il Consolidamento.

Nel 2002, per volontà del presidente russo Putin, si forma il Gruppo di Contatto con l’Afghanistan, al fine di prendere in considerazione la realtà socio-politica afgana (che però non è mai decollato del tutto per la difficoltà di gestire  i rapporti con le Istituzione afgane).
Successivamente, la decisione di far partecipare India, Iran, Pakistan, Mongolia come osservatori permanenti, fornisce un nuovo impulso geopolitico al continente eurasiatico in forte ascesa economica e militare.
L’Organizzazione è andata progressivamente rafforzandosi in vari settori (lotta al terrorismo, sviluppo economico, sfruttamento delle risorse energetiche, ecc.) sino alla costituzione, nel 2004, di due strutture permanenti: una politica, con sede a Pechino, con al vertice il Segretario Generale ed una di sicurezza, con sede a Tashkent (capitale dell’Uzbekistan), rivolta al coordinamento delle iniziative di contrasto alle attività terroristiche ed al narco-business in Asia Centrale (la Struttura Regionale Anti-Terrorismo - RATS).
Nel 2005 con il Vertice di Astana le istituzioni si consolidano e i rapporti commerciali si intensificano. Durante tale vertice si chiede, inoltre, il ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan.
Cresce anche la cooperazione con altre organizzazioni regionali (ASEAN, EUSASEC e INTERPOL) nonché con l’UE e le Nazioni Unite.
Nel vertice di Shangai del 2006 si festeggiano i 5 anni dell’Organizzazione e si redige il bilancio dell’attività svolta, nonché si affrontano problematiche attinenti le prospettive future.

Gli osservatori partecipano ai vertici ed hanno un dialogo privilegiato con tutti i membri. Alcuni hanno anche chiesto di diventare membri a pieno titolo (Pakistan ed Iran).
I membri si definiscono tutti uguali ma chiaramente la presenza della Russia e della Cina mette questi due Paesi in una situazione di preminenza, tanto che l’Organizzazione è stata definita a composizione: 1+1+4 ovvero 2+4.
L’Organizzazione è composta da Paesi che ricoprono uno spazio di 32 milioni di Kmq corrispondenti ai 3/5 dell’area euroasiatica. Se si considerano le potenzialità del Club di Shanghai, esso raggruppa la metà della popolazione mondiale e dispone della metà delle riserve di gas e di petrolio del pianeta, e contestualmente unisce i Paesi più ricchi di risorse (come Russia, Iran, Kazakistan) ai Paesi in forte ascesa economica ma privi di risorse (Cina, India).
Nel febbraio del 2007 si sono riuniti a Tashkent (Uzbekistan), i rappresentati dei Paesi membri e i dirigenti di società energetiche per discutere i termini della realizzazione di un “Club dell’Energia” all’interno della Shanghai Cooperation Organization.
L’Organizzazione è orientata al consolidamento delle proprie strutture e sembra non avere intenzione di aggregare nuovi membri (in particolare l’Iran che è il membro che modificherebbe la natura e l’assetto dell’Organizzazione).
Nel 2008 si è tenuto il Vertice di Dushanbe (28 agosto 2008). L’Agenda è stata focalizzata sulla crisi in atto nel Caucaso. Nella dichiarazione finale del vertice sono stati sanciti diversi richiami alla “diplomazia preventiva” e pochi riferimenti alla crisi in argomento. Inoltre, sono stati sottolineate specifiche linee programmatiche circa il razionale utilizzo di acque e risorse energetiche a vantaggio di tutti i membri. L’Organizzazione, inoltre, si è dotata di un regolamento sullo status di “partner dialogue”. Per ciò che attiene alla crisi caucasica la dichiarazione finale richiama il ruolo pacificatore della Russia nell’area ed i membri, piuttosto che entrare nel merito della questione georgiana, hanno attaccato la conduzione della vicenda afgana, chiedendo l’intervento del Consiglio di Sicurezza per una nuova definizione del ruolo della missione in Afghanistan. L’Organizzazione rivolge la sua attenzione anche al campo militare. Annualmente vengono effettuate alcune esercitazioni congiunte. Le prime si sono tenute nel 2002 con la partecipazione di Cina e Kyrghizstan.  Alle attività esercitative prendono parte sempre più Paesi. Lo scenario delle operazioni è quello della simulazione di un attacco terroristico su vasta scala al quale tutti i Paesi reagiscono congiuntamente. L’esercitazione del 2005 è consistita in un’operazione militare navale. L’attività è sembrata una  sorta di dimostrazione di forza delle capacità che l’Organizzazione è in grado di esprimere anche in mare (la maggior parte dei Paesi della SCO, infatti, non hanno sbocco al mare).  Quest’anno l’esercitazione si è, invece, svolta presso un’azienda energetica di Volgograd (i Paesi membri hanno voluto mettere alla prova le proprie capacità nella protezione di una struttura energetica).

3. Considerazioni 
 La Shanghai Cooperation Organization ha costituito negli ultimi anni un importante strumento con cui la Russia e la Cina, che sono i principali attori dell'Organizzazione,  hanno inteso affrontare i complessi equilibri geopolitici nell'area dell'Estremo Oriente e che ha prodotto il risultato di migliorare i rapporti tra le due potenze. Infatti nell'ambito dell'Organizzazione si sono sviluppate attività di cooperazione nella difesa comune (che hanno portato allo svolgimento di regolari esercitazioni militari in Asia e nel Mar della Cina) unitamente ad accordi di programmazione economica. Il messaggio per le potenze occidentali e gli USA, a parere degli osservatori, e' risultato essere che, seppure non sempre d'accordo, Mosca e Pechino sono disposte a garantirsi reciproco supporto difensivo ed economico per preservare, da interferenze esterne, il prezioso scacchiere geopolitico asiatico. Per alcuni analisti, l’Organizzazione è stata presto definita il nuovo “Patto di Varsavia” o la “NATO dell’Est” tesa a contenere l’unipolarismo della superpotenza statunitense. Gli USA avevano sempre guardato all'area come ad uno spazio nel quale non avrebbero dovuto avere posto ne' Cina ne' Russia ne' , a maggior ragione, l’Iran. In tale ottica avevano incrementato la loro presenza in Asia Centrale sottovalutando inizialmente il ruolo dell’Organizzazione. Nel momento in cui la SCO ha iniziato ad attrarre, anche solo a mero titolo di osservatori, India ed Iran, l'atteggiamento degli USA nei suoi confronti e' mutato. Infatti, è parso del tutto evidente il crescente ruolo in chiave di contrasto alla penetrazione USA nell'area, svolto dall’Organizzazione. Risulta, infine, chiaro che la Shanghai Cooperation Organization  sta assumendo sempre maggior peso nel contesto delle relazioni internazionali. Al contempo, la costituzione in seno alla SCO della cd. “Dialogue Partner”, potrebbe divenire un nuovo forum di dialogo all’interno dell’Organizzazione, in cui, per la prima volta, potrebbero partecipare anche gli USA e l’Unione Europea e/o la NATO, facendo così allontanare l’allarmante ipotesi di una SCO come blocco militare in contrapposizione all’Occidente.