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Metodo di ricerca ed analisi adottato

Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato su
www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com
Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Ricerche e Tesi di Laurea e di Dottorato

L'utilizzo dei dati di questo blog può essere più proficuo tenendo presente il volume di M. Coltrinari, L. Coltrinari, La Ricostruzione e lo studio di un avvenimento militare, Roma, edizione nuovacultura, 2009, nelle parti:
Capitolo II, b. La tecnica procedurale
Capitolo IV, a. La documetazione a Corredo
Alegato. Schema per una tesi di Laurea o di dottorato
a. L'attività concettuale
b. L'attività gestionale
c. L'attività esecutiva
(ulteriori informazioni scrivere alla email ricerca23@libero.it, )
Il volume è disponibile in tutte lelibrerie e presso la Casa Editrice, Nuova Cultura, al sito www.nuovacultura.it

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domenica 28 febbraio 2016

NUove Tecnologie

Unione europea
Addio al roaming? Sì, ma con giudizio
Antonio Scarazzini
29/10/2016
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La cancellazione delle tariffe sul roaming telefonico a partire da giugno 2017 è stato a lungo sventolata come il vessillo di un’Unione europea, Ue, vicina a interessi (e portafogli) dei cittadini, da contrapporre allo stigma di regina cattiva dell’austerità.

Eppure, già provata da un combinato disposto potenzialmente letale di Brexit, crisi bancarie ed emergenze migratorie, lo scorso settembre la Commissione europea ha seriamente rischiato di veder sfumare uno dei vanti della presidenza Juncker.

Nodo del contendere il contenuto dell’atto d’implementazione che la Commissione europea dovrà presentare entro il 15 dicembre prossimo per completare il regolamento, già approvato dal Parlamento europeo nell’ottobre 2015, che sancisce la rimozione delle tariffe sul roaming da giugno 2017.

La clausola di “fair use” e i rischi di distorsione del mercato 
Per godere di piena applicazione, i regolamenti dell’Ue richiedono sovente il completamento delle loro specifiche tecniche per il tramite di atti di implementazione elaborati dalla Commissione europea con la collaborazione di gruppi di esperti nazionali e delle agenzie deputate alla materia, in questo caso l’Associazione dei Regolatori europei per le telecomunicazioni (Berec).

Il regolamento 531 del 2012, che appunto disciplina la rimozione delle tariffe sul roaming, necessita di dettagliare la cosiddetta “fair use clause”, clausola che consente l’abbandono del roaming senza causare la distorsione del mercato interno.

Dal 15 giugno 2017 le compagnie telefoniche dovranno infatti includere nei loro contratti i servizi di roaming alle stesse tariffe offerte per il traffico nazionale per chiamate, messaggi e connessione dati.

A beneficiare delle nuove misure saranno i cittadini del Paese in cui è attivo l’operatore e coloro che con esso hanno legami stabili: studenti trasferiti all’estero per periodi di scambio, lavoratori “pendolari” (la Commissione cita ad esempio il caso di residenti francesi o tedeschi che si recano a lavorare in Lussemburgo) o cittadini che si trasferiscano per periodi prolungati in Paesi diversi di quelli di residenza.

L’inclusione di questa fattispecie mira a combattere il ricorso ad un cosiddetto “roaming permanente”, ossia lo scatenarsi di una battaglia tariffaria con il conseguente ricorso ad operatori di altri Paesi che offrano tariffe inferiori a quelle del Paese di residenza.

Nell’ultima versione dell’atto d’implementazione, che la Commissione ha presentato sul finire di settembre, il gruppo di lavoro ha dunque inserito tre criteri per verificare l’effettiva esistenza di pratiche abusive: la netta prevalenza di traffico in roaming rispetto a quello nazionale, la lunga inattività di una SIM che sia utilizzata esclusivamente in roaming e la sottoscrizione di abbonamenti multipli, utilizzati solo in roaming, da parte dello stesso utente.

La diatriba sui tetti al roaming
Questa formulazione, che dovrà essere discussa entro il prossimo 15 dicembre con il Berec, arriva in realtà al termine di una fase piuttosto turbolenta che ha rischiato di compromettere l’esito dell’intero regolamento.

La sua prima versione, presentata agli inizi di settembre, includeva una combinazione di tetti di utilizzo del roaming e di tariffe applicate una volta superati: 30 giorni di utilizzo roaming consecutivo, 90 complessivi in un anno, e conseguenti tariffe di 4 centesimi al minuto per chiamata, 1 centesimo per SMS e 0,85 centesimi per Megabyte utilizzato.

“Chi di noi viaggia in Europa lo fa in media per 12 giorni all’anno. Con un tetto di 90 giorni risulta ampiamente coperto” le giustificazioni addotte dal vice-presidente per il Mercato unico digitale, Andrus Ansip, e del commissario per l’economia digitale, Günther Oëttinger. Parole che hanno avuto scarsissimo appeal di fronte alla semi-insurrezione di popolo che, a soli quattro giorni dalla presentazione della proposta, ha convinto Jean Claude Juncker ad ordinare il ritiro della bozza.

Piena soddisfazione dell’Associazione europea dei consumatori, e del Parlamento europeo che, dichiara il capogruppo del partito popolare europeo, Manfred Weber, a Politico Europe, è stato decisivo nel fare pressione su Juncker per evitare che i piani per il roaming deragliassero a un passo dall’arrivo.

Insoddisfazione da parte degli operatori di telecomunicazioni europei che, per tramite della loro federazione europea Etno, lamentavano già come la soglia di 90 giorni all’anno fosse troppo alta per definire un uso equo del nuovo principio “roam-like-at-home”.

La strategia per un’Europa “connessa” non si frena
Le negoziazioni con Berec e gli esperti nazionali proseguiranno sino a dicembre: eliminati i tetti temporali, rimangono invece in piedi nella stessa misura le tariffe supplementari da applicare qualora gli operatori rilevino la presenza dei criteri di abuso delle nuove condizioni prima menzionati.

Le ultime turbolenze non sembrano dunque poter frenare il completamento del primo, e politicamente più importante, pilastro della strategia per un’Europa “connessa” che la Commissione aveva già lanciato nel 2013, per avviare un processo di integrazione dei mercati delle telecomunicazioni, per tradizione arroccati sui loro campioni nazionali e profondamente divergenti in termini di costi.

Un esempio? Secondo uno studio della Commissione del 2015, il pacchetto telefonico più economico può variare dai 12 euro in Estonia agli 81 della Grecia.

Antonio Scarazzini è Analyst presso la Cattaneo Zanetto&Co e direttore di Europae-Rivista di Affari europei.

venerdì 5 febbraio 2016

Quinto continente e la Potenza Responsabile

Cina
Pechino e la difesa dell’interesse nazionale nei mari lontani
Eleonora Ardemagni
07/03/2016
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In un sistema internazionale contraddistinto da minacce ibride e multidirezionali, la Cina sta rielaborando il proprio concetto di sicurezza, esplorandone la natura polisemica.

Nuove ambizioni di rango e crescente integrazione economica globale si fondono: la “grande potenza responsabile”, primo contributore di caschi blu per le missioni di peacekeeping, è così chiamata a ricalibrare la sua visione olistica, come esplicitato a partire dal libro bianco del 2013 su L’impiego diversificato delle Forze Armate della Cina.

Il regional security complex di Aden e la diplomazia militare cinese
Quest’evoluzione dottrinale trova manifestazione politica in un teatro marittimo impervio: il regional security complex di Aden, fra Yemen e Somalia. È in questo quadrante che Pechino sta sperimentando l’espansione del concetto di sicurezza, non più sola “difesa dei mari vicini”, ma anche “protezione dei mari lontani”, dove la sicurezza marittima diviene sicurezza energetico-economica, fino a comprendere la difesa dei lavoratori cinesi espatriati.

Pertanto, nella subregione di Aden, le “operazioni militari diverse dalla guerra” - nel caso di specie peacekeeping, anti-pirateria, evacuazioni di civili - non sono semplici esercizi volti all’acquisizione di un’essenziale esperienza nella proiezione di forza militare all’estero, ma effettivi strumenti di difesa dell’interesse nazionale. Il microcosmo sociale di Aden è vischioso e caratterizzato dal collasso delle sovranità statuali.

Il regional security complex di Aden mette infatti in relazione la regione sudarabica e il Corno d’Africa: le dinamiche di sicurezza presenti in quest’area sono interrelate a tal punto da non potere essere analizzate separatamente.

La crescente rivalità tra sauditi e iraniani in Yemen potenzia il legame geopolitico esistente fra Golfo di Aden e Golfo Persico/Arabico. L’interdipendenza fra i network tribali dello Yemen e quelli clanici della Somalia accentua l’entropia di quest’area, spingendo gli studiosi ad adottare un nuovo modello di analisi delle dinamiche locali, basato sulla transnazionalità dei flussi, in primo luogo umani.

La Cina al tavolo delle potenze del Golfo
La Cina è fortemente interessata alla stabilità del regional security complex di Aden per almeno tre ragioni: i forti rapporti energetico-economici con il Golfo, la libertà di navigazione nello stretto del Babel-Mandeb (e relativo contrasto alla pirateria), la proiezione economica in Africa orientale, anche mediante forme di diplomazia militare.

I fenomeni della globalizzazione e il relativo disimpegno statunitense in Medio Oriente hanno consentito a Pechino di rafforzare rapporti diplomatico-commerciali con le monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), anzitutto a tutela delle necessità energetiche interne: secondo la Energy Information Administration, nel 2014 il 26% del greggio importato dalla Cina proveniva da Arabia Saudita e Oman.

L’Arabia Saudita, frustrata dal riavvicinamento fra Washington e Teheran su dossier nucleare e lotta al cosiddetto Califfato, guarda sempre più a est per diversificare la propria rete di partnership internazionali.

Riyadh, firmataria di un accordo di cooperazione sul nucleare civile con Pechino (2012), punta a incrementare le forniture militari e a rafforzare i legami con la Cina nel campo della sicurezza, pur rimanendo cosciente dell’indispensabilità dell’ombrello di difesa statunitense.

Anche con l’Iran Pechino coltiva una relazione stretta: l’obiettivo della diplomazia cinese è massimizzare i benefici dell’interazione parallela con le sponde rivali del Golfo, come testimoniato dalla compresenza di Arabia Saudita e Iran nella Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (Aiib).

Interessi energetici e missioni anti-pirateria congiunte
Dati i forti interessi energetici nella regione, la stabilità dell’area di Aden è essenziale: unità della Marina cinese sono qui dispiegate dal 2008 in missione anti-pirateria e la presenza di numerose operazioni internazionali (tra cui la Combined Task Force 151Ocean Shield della Nato e Atalanta-Eunavfor dell’Unione europea) ha in effetti contribuito alla sensibile riduzione delle incursioni tra Aden e le acque somale.

La condivisione degli obiettivi fra Usa, Nato, Ue e Cina ha qui permesso un gioco a somma positiva, evidenziato dal buon funzionamento del meccanismo Shade (Shared Awareness and Deconfliction). Nel novembre 2015, Cina e Nato hanno svolto nel Golfo di Aden le prime esercitazioni congiunte anti-pirateria.

L’impegno cinese a contrasto della pirateria offre anche nuove opportunità di proiezione economica in Africa orientale. Al di là degli investimenti in concessioni di terreni e risorse naturali, Pechino sta promuovendo iniziative economiche con significativi risvolti in campo marittimo, tese a potenziare le infrastrutture ferroviarie e portuali della costa africana, in chiave commerciale (si veda, ad esempio, la costruzione del porto di Lamu in Kenya).

Cinesi equilibristi fra sauditi e iraniani
In questo contesto la Cina compete con Turchia, monarchie del Golfo, Iran e India. Il conflitto yemenita destabilizza tuttavia l’intero quadrante: nato come scontro interno fra centro e periferia, si è trasformato in epicentro della rivalità regionale fra Arabia Saudita e Iran.

In questa cornice, la Cina ha da subito cercato di mantenere una posizione di equidistanza fra i patron sauditi e iraniani: Pechino ha votato la risoluzione n. 2216 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, che chiede il ritiro delle milizie sciite, sostenute da Teheran, dalle aree occupate, pur invitando Riyadh e Abu Dhabi a fermare i bombardamenti della coalizione sunnita.

Spingendosi ai limiti del “coinvolgimento creativo”, la Cina ha avviato contatti diplomatici con Ansarullah (il movimento degli huthi, gli insorti sciiti zaiditi del nord) e, al contempo, ha dissuaso il Pakistan dall’intervenire militarmente, come invece richiesto dai sauditi.

Anche sul caso del religioso sciita Nimr Al-Nimr, giustiziato dall’Arabia Saudita nel gennaio 2016, i cinesi hanno optato per un equilibrismo diplomatico: il vice ministro degli esteri Zhang Ming si è recato in entrambe le capitali rivali del Golfo, auspicando una de-escalation della tensione.

La scelta di Gibuti come sede della prima base militare permanente della Rpc all’estero rimarca la centralità del quadrante di Aden. Le due operazioni di evacuazione di lavoratori cinesi dallo Yemen effettuate dalla Marina militare di Pechino (122 cittadini imbarcati da Aden il 29 marzo, 449 da Hodeida il 30 dello stesso mese) hanno enfatizzato la necessità, a fronte di crescenti interessi economici, di un “appoggio logistico” nell’area.

La questione yemenita agli occhi di Pechino
Stabilizzare la città yemenita di Aden, porto commerciale proteso su Corno d’Africa e Oceano Indiano, rientra dunque nell’orizzonte strategico cinese. Lo Yemen esporta circa 1,5 milioni di barili di petrolio ogni mese dal terminal di Masila (Hadramout), con principale destinazione la Cina: nel primo bimestre del 2015, l’import cinese di greggio yemenita è addirittura aumentato del 315% rispetto allo stesso periodo del 2014.

D’altro canto, le vie d’acqua che circondano lo Yemen si trovano nel mezzo della cosiddetta Via della seta marittima del XXI secolo, iniziativa centrale per la politica estera cinese delineata dal presidente XiJinping nel 2013, in parte per controbilanciare il pivot to Asia statunitense. Ecco perché la protezione di determinati mari lontani equivale, oggi, per la Cina, alla difesa dello stesso interesse nazionale.

Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali.

Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes, Storia Urbana. Gulf analyst per la Nato Defense College Foundation. Autrice di “United Arab Emirates' Armed Forces in the Federation-Building Process: Seeking for Ambitious Engagement”, International Studies Journal 47, vol.12, no.3, Winter 2016, pp.43-62.
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