Sergio Benedetto Sabetta
In questi tempi di ridefinizione dei rapporti economici e
strategici, si parla de recupero della visione “hamiltoniana”, dove lo Stato ha funzioni di catalizzatore e stimolo
nei settori avanzati, come avveniva nella guerra fredda, in contrapposizione
alla visione “neoliberista” emersa
negli anni Ottanta ( Atkinson ).
Gli economisti classici
trovano nel costo del fattore lavoro l’unico elemento che differenzia i mercati
per il resto considerati omogenei per definizione, si che la produttività di
ciascun paese non è altro che il frutto della comparazione statica dei costi di
produzione per unità di lavoro.
Porter
ha introdotto una concezione dinamica della competizione collegandola a
quella di strategia in cui vi è un uso ampio e selettivo dell’innovazione quale
fonte creatrice ma anche distruttrice.
La competizione vuol dire
possedere elementi di superiorità difendibili nel tempo e come tali non
rilevabili mediante semplici indicatori di performance i quali non potranno non
riguardare che situazioni passate o presenti ma non future, ossia
manifesteranno la presenza attuale di vantaggi competitivi ma non la loro
sostenibilità nel tempo, in altre parole il “potenziale competitivo” inteso come capacità rigenerativa nel tempo delle fonti proprie del
vantaggio competitivo stesso.
Possiamo considerare il
vantaggio competitivo in termini di singola impresa o di sistema paese.
Nel primo caso si dovranno
considerare tre strategie diverse :
1. leadership di costo, in cui l’impresa punta ad
ottenere il più basso costo nel settore in cui opera;
2. differenziazione, in cui l’impresa cerca di
creare una propria immagine spendibile che la differenzi dai concorrenti,
eventualmente limitandola ai soli suoi prodotti;
3. focalizzazione , l’impresa cerca un
segmento di mercato compatibile alla propria organizzazione produttiva e di
vendita.
Tradizionalmente si
individuano due tipologie di vantaggi competitivi la prima propria dell’impresa
( firm – specific ), la seconda collegata ad una specifica
localizzazione ( location – specific ) , tali vantaggi possono essere
variamente combinati fra loro a seconda che il vantaggio si basi esclusivamente
su elementi propri dell’export o anche sulla localizzazione, se non
esclusivamente su questa.
In un’epoca storica di globalizzazione
le scelte di delocalizzazione e di
dispersione geografica nel loro accrescersi, creano sempre maggiori interazioni
tra vantaggi competitivi e vantaggi per delocalizzazione ( Dunning,
Erramilli ).
Come osserva Caroli la
delocalizzazione è legata alla valutazione di due aspetti:
·
i vantaggi acquisibili con l’insediamento in un determinato ambito
territoriale ;
·
la trasferibilità di tali elementi alle varie unità dell’impresa
localizzate in altri territori.
In realtà i fattori location e firm – specific non
sono isolabili ma interagiscono fra loro ed il problema per l’impresa non è
solo la ricerca di una maggiore efficienza, quanto la definizione di una
strategia competitiva, che tenendo conto dei vari fattori legati al vantaggio
competitivo, riconfiguri una propria catena del valore internazionale.
Se quanto finora detto è riferibile esclusivamente a
livello di impresa, questa vive in un contesto paese si che il discorso sul
vantaggio competitivo dovrà forzatamente allargarsi all’intero sistema paese e
pertanto alle sue leggi e alle sue scelte di politica economica che potranno
esaltare o erodere qualsiasi vantaggio acquisito, basti pensare a riguardo alle
vicissitudini dei nostri distretti industriali.
Mentre l’impresa si posiziona strategicamente nell’ambiente
economico in funzione delle valutazioni da lei effettuate, in quanto l’ambiente
è strumentale all’economicità aziendale, l’ente pubblico è parte di un “sistema
di aziende pubbliche” condizionato da vincoli istituzionali, l’insieme delle
cui azioni dovrebbe tutelare l’interesse collettivo. Questo comporta la nascita
di esigenze di sistema per una efficace economicità, in altre parole cresce la necessità
che vi sia un gioco di squadra in cui il risultato positivo del sistema
pubblico non può essere dato da alcuna azienda pubblica singolarmente ma
dall’ordinato agire di tutti gli istituti.
Ecco emerge le necessità di un corretto assetto istituzionale,
in particolare sulla distribuzione dei poteri decisionali relativi alle fonti
di finanziamento al fine di sviluppare il binomio autonomia – responsabilità
nell’agire collettivo.
Come nella teoria
del caos, un errore iniziale può metastatizzarsi in un errore di sistema a
livello di risultato finale, tale da ridurre significativamente la qualità del
risultato distruggendo qualsiasi capacità di sistema nel sostenere o creare un
vantaggio competitivo a livello di paese, emerge chiaramente l’interazione tra
paese e imprese nell’acquisizione di un effettivo e difendibile vantaggio
competitivo e il relativo rischio per politiche esclusivamente settoriali che
non siano parte di una strategia più ampia e complessiva, frutto di una visione
globale.
Proprio in questa prospettiva, nella crisi che sembra
attraversare l’America e l’Occidente in generale, le università cinesi attivano
corsi di filosofia occidentale per acquisire nuove conoscenze e ampliare la
propria visione del mondo, integrando confucianesimo e taoismo con il “logos “ del pensiero occidentale, con il
fine dichiarato di conoscere l’avversario ed acquisirne il buono ed utile. ( De Ruvo ).
BIBLIOGRAFIA
- R. D. Atkinson, 123-129,
“Il bluff globale “, Limes 4/2023;
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M. Caroli, Globalizzazione e localizzazione dell’impresa
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e performance delle imprese, in “Economia & Management”, 53 – 70, ETAS,
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G. De Ruvo, 69-81, in “Il bluff globale”, Limes 4/2023;
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M. E. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondatori, 1991;
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F. Longo, Federalismo e decentramento. Proposte economico aziendali per
le riforme, Egea, 2001;
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R. Laughlin, Il lato oscuro della protezione. In “Un universo diverso.
Reinventare la fisica da cima a fondo”, Codice Edizioni – Le Scienze, 2006;
·
A. Zangrandi, Autonomia ed economicità nelle aziende pubbliche,
Giuffrè, 1994.
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