Il concetto di indo-pacifico e’ relativamente
nuovo, si riferisce alla regione marina
comprendente le parti tropicale e subtropicale degli Oceani Indiano e Pacifico
dove gli Stati che vi si affacciano hanno in comune interessi economici, politici
e strategici.
In
realtà Indo-Pacifico è termine politico, non geografico, ed il suo perimetro
muta in funzione degli obiettivi strategici: per gli USA l’area si estende
dalle Hawaii all’India mentre per il Giappone giunge a toccare le coste
orientali africane. I due
principali aspetti che caratterizzano il crescente interesse per questa area
riguardano il tasso positivo di crescita economica degli Stati regionali e
l’ascesa della Cina come potenza regionale.
Nel settembre scorso e’ stato annunciato l’accordo
tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti
noto come AUKUS, dalle iniziali dei nomi dei Paesi in lingua
inglese, che prevede la condivisone di tecnologia militare, intelligence,
capacità nell’intelligenza artificiale ma soprattutto la dotazione di
sottomarini a propulsione nucleare all’Australia.
Questo
nonostante la Francia e l’Australia avessero firmato, nel 2016, un
contratto del valore di 56 miliardi di euro per 12 sottomarini
convenzionali, che sarebbero stati costruiti dalla francese Naval
Group nel Paese oceanico.
L’accordo
ha sollevato malessere tra gli alleati internazionali degli Usa e non solo all’interno
di una Unione Europea emarginata dall'intesa. Se la Francia, che ha perso un
contratto per rinnovare i sottomarini di Canberra, ha protestato contro quelli
che sembra essere un ritorno ad America First, nella stessa regione asiatica la
Nuova Zelanda è rimasta fredda.
La nuova alleanza strategica in funzione anti-Cina tra
Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia non solo ha annullato i contratti tra
Canberra e Parigi sulla produzione di sottomarini, ma sta incrinando i rapporti
tra Bruxelles e Washington. Si può affermare che da Washington e’ arrivato un chiaro e forte segnale, a costo di far
crollare gli introiti di un’azienda di un Paese alleato, non si fa marcia
indietro sugli impegni strategici nazionali.
Per
quanto riguarda l’Australia questa ha mal digerito l’espansionismo cinese
dell’era di Xi, che oltrepassando la prima catena di isole che circoscrive
il Mar Cinese Meridionale (Giappone, Filippine, Taiwan e Indonesia), e’ entrata
nella tradizionale sfera d’influenza australiana. Nel 2018, dopo aver criticato
la penetrazione cinese nel proprio sistema politico, Canberra ha bandito Huawei
e Zte dallo sviluppo della rete 5G nazionale e non ha inoltre risparmiato
critiche alla Repubblica Popolare sul violento processo di assimilazione degli
uiguri nello Xinjiang e sulle repressioni a Hong Kong. Sembra quindi
logico che l’Australia abbia cercato di rafforzare i suoi legami con gli Stati
Uniti, in assoluto l’alleato più potente, per contrastare l’egemonia di Pechino
in Asia e anche l’unico veramente in grado di aumentarne l’arsenale militare.
Da
sottolineare che l’Australia considera da tempo fondamentale controbilanciare
l’avanzata cinese nell’area. Questa posizione deriva non solo da una continua
espansione delle forza militare di Pechino, ma anche dalle mosse della
Repubblica popolare in tutta la regione dell’Indo-Pacifico e quindi ritiene che l’unico freno a questo cambiamento epocale,
ovvero la nascita di una potenza marittima cinese, è quello di stringere i
legami con l’Anglosfera[1].
Per
l’Australia Pechino è un importantissimo partner commerciale, un terzo delle
sue esportazioni sono dirette in Cina ma dal punto di vista della sicurezza
Canberra è allineata con gli Stati Uniti per l’appartenenza all’anglosfera e
anche perché è uno dei paesi del Five Eyes98 [2].
L’area
indo-pacifica rappresenta oramai una parte importante degli equilibri
geopolitici planetari, per gli interessi economici, diplomatici, strategici e
militari che interessano i Paesi affacciati sulla grande massa d’acqua circondante
il continente asiatico. In questa area si incontrano, si confrontano e
collidono gli interessi delle due massime potenze planetarie, Cina e Stati
Uniti e questo si sovrappone al tempo stesso alla proiezione geopolitica di
attori di primissimo piano come India e Russia, al progressivo rilancio
dell’attivismo del Giappone nel contesto internazionale e alla crescente
dinamicità strategica di nazioni dall’economia rilevante interessate a far
sentire la propria voce: Corea del Sud, Malesia, Indonesia, Filippine,
Singapore e Taiwan.
L’annuncio
di un accordo trilaterale tra Usa, Australia e Regno Unito apre
nell’Indo-Pacifico un nuovo fronte di contenimento in chiave
implicitamente anti-cinese con la Marina cinese che sta crescendo in
dimensioni e capacità, trasformandosi completamente
ma, allo stesso tempo, mette in rilievo un altro serio
problema che riguarda i Paesi europei, membri dell’Unione e della Nato. C’e’ da
considerare inoltre che, eccetto i tre paesi coinvolti, di quell’accordo non ne
sapeva niente nessuno infatti è stato tenuto nascosto come se il resto del
mondo fosse dalla parte di Pechino che invece rappresenta la capitale di un
impero solitario. Il responsabile della diplomazia e della difesa dell’Unione,
Josep Borrell, riferendosi all’AUKUS ha ammesso di non esserne a
conoscenza aggiungendo “e presumo che un accordo di quella natura
non sia stato messo insieme nello spazio di una notte”.
A
parte le puntuali critiche di Pechino, ha fatto scalpore la decisione
della Francia di richiamare i propri ambasciatori da Washington e
Canberra proprio in seguito a questo accordo. Per la Francia, come
sottolineato in una nota dal ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian,
“l’abbandono del progetto di sottomarino di classe oceanica che aveva legato
l’Australia alla Francia dal 2016, e l’annuncio di un nuovo partenariato con
gli Stati Uniti volto ad avviare studi su una possibile futura cooperazione sui
sottomarini a propulsione nucleare costituiscono un comportamento inaccettabile
tra alleati e partner, le cui conseguenze riguardano la nostra stessa
concezione delle alleanze, i nostri partenariati e l’importanza
dell’Indo-Pacifico per l’Europa”.
Per il Regno Unito e’ chiaro l’interesse ad inserirsi nell’area,
nell’ambito della “Global Britain”, con
la scelta di riportare al centro della politica estera l’area ad est del canale
di Suez, riaffermando così la centralità della regione.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti la sua politica
estera, anche alla luce del continuo espansionismo cinese, si sta concentrando
nell’area dell’Indo-pacifico non solo utilizzando la proiezione di potenza ma
con l’ampliamento delle alleanze da allargare e tutto questo a scapito del
legame euro-americano. Gia’ nel 2011 vi fu l’annuncio dell’allora segretario di
Stato USA Hillary Clinton del “Pivot to Asia” che ha rappresentato il grande
elemento di novità della politica estera statunitense del nuovo secolo. In
pratica rappresentava il ri-orientamento dell’asse strategico del paese verso
la regione dell’Asia-Pacifico, che prevedeva inizialmente il rafforzamento
entro il 2020 della presenza economica, diplomatica e militare degli Stati
Uniti in uno dei teatri strategici più importanti, dominato dalla graduale
ascesa della Repubblica Popolare Cinese (RPC).
L’India,
che nell’Indo-pacifico rappresenta un elemento centrale per qualsiasi accordo,
e’ contraria ad ogni alleanza militare e vuole mantenersi in equilibrio tra
Stati Uniti e Russia anche in considerazione che quest’ultima al momento rappresenta la principale
fornitrice di armamenti. Forte della sua appartenenza al Movimento dei Paesi
non allineati, l‘India non ha stretto alleanze formali né con russi né con
statunitensi, cosa che ha favorito la propensione ad intrattenere, a differenza
della Cina, un’ampia cooperazione con l’occidente. In ogni caso l’attrito tra Usa e Cina per l’India rimane
pericoloso visto che, dopo la Cina, gli USA sono il primo partner commerciale e
che la Cina è la detentrice, per l’India stessa, del più alto deficit
commerciale.
L’India, per
altro, desidera controllare direttamente il suo oceano che, a
dispetto della denominazione geografica, è al momento sotto il controllo
americano per via delle basi in Kuwait, Gibuti, Bahrein, Oman e Singapore da
cui sorvegliano l’accesso ai principali stretti. In ogni caso pur non essendoci
al momento reali possibilità di trasformazione dei legami in alleanze
vincolanti con le democrazie occidentali, presto o tardi l’India è destinata ad
entrare a far parte della schiera dei Paesi con relazioni stabili a carattere
anticinese con gli USA, non è più possibile isolarsi seguendo una terza
via.
L’UE al momento
non sembra avere una politica chiara e comune e oltre le rimostranze francesi e le
ambizioni collettive finora molto vaghe di autonomia strategica, ha assistito
inerte a un accordo che di fatto non ha solo cancellato un contratto tra
l’Australia e un Paese membro Ue ma ha anche dimostrato la scarsa
considerazione degli Stati Uniti nei confronti dei partner europei. La strategia indo-pacifica dell’Ue,
annunciata lo stesso giorno dell’accordo tra i tre Stati dell’anglosfera, è
estremamente debole e poco incisiva rispetto a quella proposta da Washington
che di certo non vuole tentennamenti da parte di Bruxelles e Stati membri
dell’Ue[3].
Manca una necessaria ed oggi ancora insufficiente coesione effettiva (non solo
retorica) tra i maggiori Paesi membri della UE, infatti non è molto credibile
annunciare obiettivi globali o impegni militari senza aver spiegato quali sono
gli interessi collettivi da difendere, rinunciando ove necessario a un certo margine
di sovranità nazionale.
Mosca,
che vuole interpretare il ruolo dell’ago della bilancia geopolitica concentrata
sul sogno della grande Eurasia, lontana dall’Occidente, sempre più vicina a
Pechino, e con l’India parte del sistema anti-cinese a guida USA, ha dichiarato
di essere “preoccupata” riguardo l’alleanza trilaterale in materia di
sicurezza che lega Australia, UK e Stati Uniti. Secondo Mosca, il patto
minaccia gli sforzi globali per la non proliferazione nucleare perché
consentirà all’Australia di diventare il secondo Paese dopo il Regno Unito ad
avere accesso alla tecnologia nucleare statunitense per produrre sottomarini a propulsione
nucleare.
Il
primo ottobre, il viceministro degli Esteri della Federazione, Sergey Ryabkov,
intervenendo ad una discussione pubblica presso il Centro per la politica di
sicurezza di Ginevra, ha dichiarato: “Siamo
preoccupati per il recente annuncio da parte di Stati Uniti, Regno
Unito e Australia sullo sviluppo di un sistema tecnologicamente avanzato di
partnership che consentirà all’Australia di entrare nella classifica dei primi
cinque Paesi al mondo in questo tipo di armamenti”.
Il viceministro russo ha altresì osservato che l’intesa, permettendo a Canberra
di costituire una flotta di sottomarini nucleari, rappresenta una “sfida al
regime internazionale di non proliferazione nucleare”.
Per quanto riguarda la Cina, da anni questa espande la propria influenza politica,
economica e militare nel mondo, con l’intento di usufruire di risorse
territoriali e di allineare gli Stati a suo favore e l’Indo-Pacifico
rappresenta una delle principali sfere d’interesse cinese.
La Cina cerca di monopolizzare questa macro
regione con la costruzione di porti, infrastrutture e basi militari e sta
espandendo la sua influenza economica, tanto che vuole entrare nel patto
Trans-pacifico[4]. Questa ricerca di
controllo territoriale e marittimo si scontra con gli interessi statunitensi
ed occidentali, le cui presenze nel Mar Cinese meridionale sono viste come
“destabilizzanti” dal Governo di
Pechino.
Negli ultimi anni, tra gli
Oceani Indiano e Pacifico, vi e’ stato il consolidamento del concetto marittimo
ed il contestuale incremento del peso politico asiatico e questo ha portato ad
una sovrapposizione di interessi politico-economico-militari, che ha ridefinito
equilibri di potenza e rapporti di forza come già detto causata anche dalle
ambizioni regionali e globali della Cina, l’attore statale più accreditato a
contendere il ruolo di leadership agli Stati Uniti.
[1] Nazioni di lingua inglese che hanno
una stretta cooperazione politica, militare e diplomatica con il Regno Unito
[2]
Alleanza di intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno
Unito e Stati Uniti
[3] Il 19 aprile 2021 il Consiglio
dell’Unione Europea (UE) ha approvato le conclusioni su una Strategia dell’UE
per la cooperazione nella regione indo-pacifica
[4] Trans-Pacific Partnership (TPP) accordo di libero
scambio della regione dell’Asia-Pacifico, che annovera tra i suoi firmatari 12
paesi, di cui 7 Stati del continente asiatico (Australia, Brunei, Giappone,
Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam) e 5 del continente americano
(Canada, Cile, Messico, Perù, Stati Uniti).
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