La cancellazione delle tariffe sul roaming telefonico a partire da giugno 2017 è stato a lungo sventolata come il vessillo di un’Unione europea, Ue, vicina a interessi (e portafogli) dei cittadini, da contrapporre allo stigma di regina cattiva dell’austerità.
Eppure, già provata da un combinato disposto potenzialmente letale di Brexit, crisi bancarie ed emergenze migratorie, lo scorso settembre la Commissione europea ha seriamente rischiato di veder sfumare uno dei vanti della presidenza Juncker.
Nodo del contendere il contenuto dell’atto d’implementazione che la Commissione europea dovrà presentare entro il 15 dicembre prossimo per completare il regolamento, già approvato dal Parlamento europeo nell’ottobre 2015, che sancisce la rimozione delle tariffe sul roaming da giugno 2017.
La clausola di “fair use” e i rischi di distorsione del mercato Per godere di piena applicazione, i regolamenti dell’Ue richiedono sovente il completamento delle loro specifiche tecniche per il tramite di atti di implementazione elaborati dalla Commissione europea con la collaborazione di gruppi di esperti nazionali e delle agenzie deputate alla materia, in questo caso l’Associazione dei Regolatori europei per le telecomunicazioni (Berec).
Il regolamento 531 del 2012, che appunto disciplina la rimozione delle tariffe sul roaming, necessita di dettagliare la cosiddetta “fair use clause”, clausola che consente l’abbandono del roaming senza causare la distorsione del mercato interno.
Dal 15 giugno 2017 le compagnie telefoniche dovranno infatti includere nei loro contratti i servizi di roaming alle stesse tariffe offerte per il traffico nazionale per chiamate, messaggi e connessione dati.
A beneficiare delle nuove misure saranno i cittadini del Paese in cui è attivo l’operatore e coloro che con esso hanno legami stabili: studenti trasferiti all’estero per periodi di scambio, lavoratori “pendolari” (la Commissione cita ad esempio il caso di residenti francesi o tedeschi che si recano a lavorare in Lussemburgo) o cittadini che si trasferiscano per periodi prolungati in Paesi diversi di quelli di residenza.
L’inclusione di questa fattispecie mira a combattere il ricorso ad un cosiddetto “roaming permanente”, ossia lo scatenarsi di una battaglia tariffaria con il conseguente ricorso ad operatori di altri Paesi che offrano tariffe inferiori a quelle del Paese di residenza.
Nell’ultima versione dell’atto d’implementazione, che la Commissione ha presentato sul finire di settembre, il gruppo di lavoro ha dunque inserito tre criteri per verificare l’effettiva esistenza di pratiche abusive: la netta prevalenza di traffico in roaming rispetto a quello nazionale, la lunga inattività di una SIM che sia utilizzata esclusivamente in roaming e la sottoscrizione di abbonamenti multipli, utilizzati solo in roaming, da parte dello stesso utente.
La diatriba sui tetti al roaming Questa formulazione, che dovrà essere discussa entro il prossimo 15 dicembre con il Berec, arriva in realtà al termine di una fase piuttosto turbolenta che ha rischiato di compromettere l’esito dell’intero regolamento.
La sua prima versione, presentata agli inizi di settembre, includeva una combinazione di tetti di utilizzo del roaming e di tariffe applicate una volta superati: 30 giorni di utilizzo roaming consecutivo, 90 complessivi in un anno, e conseguenti tariffe di 4 centesimi al minuto per chiamata, 1 centesimo per SMS e 0,85 centesimi per Megabyte utilizzato.
“Chi di noi viaggia in Europa lo fa in media per 12 giorni all’anno. Con un tetto di 90 giorni risulta ampiamente coperto” le giustificazioni addotte dal vice-presidente per il Mercato unico digitale, Andrus Ansip, e del commissario per l’economia digitale, Günther Oëttinger. Parole che hanno avuto scarsissimo appeal di fronte alla semi-insurrezione di popolo che, a soli quattro giorni dalla presentazione della proposta, ha convinto Jean Claude Juncker ad ordinare il ritiro della bozza.
Piena soddisfazione dell’Associazione europea dei consumatori, e del Parlamento europeo che, dichiara il capogruppo del partito popolare europeo, Manfred Weber, a Politico Europe, è stato decisivo nel fare pressione su Juncker per evitare che i piani per il roaming deragliassero a un passo dall’arrivo.
Insoddisfazione da parte degli operatori di telecomunicazioni europei che, per tramite della loro federazione europea Etno, lamentavano già come la soglia di 90 giorni all’anno fosse troppo alta per definire un uso equo del nuovo principio “roam-like-at-home”.
La strategia per un’Europa “connessa” non si frena Le negoziazioni con Berec e gli esperti nazionali proseguiranno sino a dicembre: eliminati i tetti temporali, rimangono invece in piedi nella stessa misura le tariffe supplementari da applicare qualora gli operatori rilevino la presenza dei criteri di abuso delle nuove condizioni prima menzionati.
Le ultime turbolenze non sembrano dunque poter frenare il completamento del primo, e politicamente più importante, pilastro della strategia per un’Europa “connessa” che la Commissione aveva già lanciato nel 2013, per avviare un processo di integrazione dei mercati delle telecomunicazioni, per tradizione arroccati sui loro campioni nazionali e profondamente divergenti in termini di costi.
Un esempio? Secondo uno studio della Commissione del 2015, il pacchetto telefonico più economico può variare dai 12 euro in Estonia agli 81 della Grecia.
Antonio Scarazzini è Analyst presso la Cattaneo Zanetto&Co e direttore di Europae-Rivista di Affari europei.
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