Immigrazione Australia meta proibita Fabio Caffio 11/01/2014 |
Lontani dal Mediterraneo, scenari e tragedie dell'immigrazione verso l'Europa si ripetono nelle acque australiane. Le aree di provenienza dei profughi sono le stesse – mediorientali - e uguali sono anche i metodi utilizzati da trafficanti e scafisti. In parte diversa però, è la risposta di Canberra.
L'Australia, che nel 2001 si rifiutò di accogliere i 400 profughi afgani salvati dal mercantile norvegese Tampa vicino a Giava, è ferma nell'interdire le sue coste.
Le rotte asiatiche dei migranti (fonte: Unodoc).
Respingimenti
Da quando sono iniziati i flussi migratori provenienti dai teatri di guerra di Iraq, Afghanistan, Somalia e Sri Lanka, l'Australia non ha mai modificato la sua politica di criminalizzazione dei migranti irregolari e di respingimento in mare.
Anzi, si è blindata ancora di più per fronteggiare i nuovi arrivi da Libia, Siria ed Egitto che fanno capo all’Isola di Christmas, distante circa 200 miglia dalla vicina Indonesia.
Giacarta, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e che, sovrappopolata com'è, non è la capitale di uno stato ambito, rappresenta difatti un ponte verso l'Australia.
Un accordo del 2006 tra i due paesi stabiliva forme di cooperazione nella lotta all’immigrazione clandestina e al crimine transnazionale. L'intesa è naufragata sugli scogli della reciproca diffidenza e della difficoltà per l'Indonesia di contrastare i traffici illeciti sul suo territorio.
Naufragi
Per affermare la sua scelta isolazionista, l'Australia ha adottato la prassi, analoga a quella di certi paesi europei, del rimorchio verso i luoghi di partenza (prevalentemente indonesiani) dei migranti intercettati in mare.
Numerose le sciagure. Si stima che siano perite in mare, in prossimità delle coste australiane e della sua isola di Christmas, circa mille persone. La ricerca e soccorso (Search and rescue, Sar) in favore dei boat people non sembra tuttavia essere mai divenuta, come in Italia, un'emergenza nazionale.
L'Australia non ha comunque una Guardia costiera: le relative funzioni fanno capo, secondo un approccio orientato al contenimento dei costi, a un'autorità governativa che si avvale dell'apporto di varie istituzioni e in particolare della Marina.
All'origine di molte tragedie vi è peraltro una situazione simile a quella esistente tra Italia e Malta, cioè un'incertezza giuridica sulle competenze di Australia e Indonesia nella proprie zone Sar e sul luogo sicuro in cui trasportare i migranti salvati. Non a caso, l'isola di Christmas ricade nella Sar indonesiana proprio come Lampedusa è compresa nella Sar pretesa da Malta.
Zona SAR Australia (Fonte AMSA).
Trasferimenti forzati
Per risolvere il caso dei profughi del Tampa, nel 2001 l'Australia aveva negoziato il loro sbarco, dietro compenso, nell'Isola di Nuaru. Da allora Canberra ha continuato a concedere contropartite economiche ai paesi che accettano di ricevere rifugiati che hanno raggiunto il territorio australiano al di fuori dei canali ufficiali di immigrazione. Un recente accordo in questo senso è stato stipulato con la vicina Papua-Nuova Guinea dopo che l'Alta corte aveva annullato, per violazione del principio di non respingimento, una simile intesa con la Malesia.
Il governo australiano si attiene ora a una linea formalmente garantista: nessuna espulsione sino al momento del riconoscimento di uno status protetto, ma poi trasferimento degli interessati in stati aderenti alla Convenzione di Ginevra.
Critiche a questa politica sono state comunque espresse da più parti. Amnesty International ha definito inumano il trattamento riservato ai profughi trasportati in Papua Nuova Guinea nel centro di raccolta dell'Isola di Manus.
Cooperazione multilaterale
Mostrarsi intollerante nei confronti dell'immigrazione illegale ed evitare di essere considerata una facile meta sono state le preoccupazioni principali dell'Australia nell'ultimo decennio. I governi hanno affrontato il problema con provvedimenti drastici salvo modificarli di fronte alle proteste di settori dell'opinione pubblica.
L'esistenza di stati satelliti interessati a ricevere contropartite economiche ha facilitato la stipula di accordi di trasferimento. Unica spina quella dei difficili rapporti con l'Indonesia.
Giacarta sembra tuttavia accettare ora un approccio multilaterale che preveda il coinvolgimento dei paesi di origine e di transito, simile alla politica europea dell'immigrazione. Di qui il Bali Process, avviato nel 2002, che vede Australia ed Indonesia seduti allo stesso tavolo assieme agli altri paesi asiatici e alle organizzazione internazionali impegnate nel contrasto ai traffici illeciti e nella tutela di migranti e rifugiati (l'Italia partecipa come osservatore).
Dal Bali Process vengono interessanti spunti all'Europa. Esso è infatti fondato pragmaticamente su intese regionali non vincolanti di trattamento dei richiedenti asilo che prevedono il loro successivo rimpatrio volontario o la sistemazione in stati diversi da quello di ingresso.
Rimarchevole è lo sforzo di coinvolgere istituzioni internazionali nel raggiungimento di un accordo sui criteri di definizione del luogo sicuro in cui sbarcare i migranti salvati. La dimensione del servizio di ricerca e soccorso, come di recente emerso anche nell'Unione europea, pare però restare ai margini dell'esercizio, quale materia riservata alle competenze dei singoli stati.
Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo.
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L'Australia, che nel 2001 si rifiutò di accogliere i 400 profughi afgani salvati dal mercantile norvegese Tampa vicino a Giava, è ferma nell'interdire le sue coste.
Respingimenti
Da quando sono iniziati i flussi migratori provenienti dai teatri di guerra di Iraq, Afghanistan, Somalia e Sri Lanka, l'Australia non ha mai modificato la sua politica di criminalizzazione dei migranti irregolari e di respingimento in mare.
Anzi, si è blindata ancora di più per fronteggiare i nuovi arrivi da Libia, Siria ed Egitto che fanno capo all’Isola di Christmas, distante circa 200 miglia dalla vicina Indonesia.
Giacarta, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e che, sovrappopolata com'è, non è la capitale di uno stato ambito, rappresenta difatti un ponte verso l'Australia.
Un accordo del 2006 tra i due paesi stabiliva forme di cooperazione nella lotta all’immigrazione clandestina e al crimine transnazionale. L'intesa è naufragata sugli scogli della reciproca diffidenza e della difficoltà per l'Indonesia di contrastare i traffici illeciti sul suo territorio.
Naufragi
Per affermare la sua scelta isolazionista, l'Australia ha adottato la prassi, analoga a quella di certi paesi europei, del rimorchio verso i luoghi di partenza (prevalentemente indonesiani) dei migranti intercettati in mare.
Numerose le sciagure. Si stima che siano perite in mare, in prossimità delle coste australiane e della sua isola di Christmas, circa mille persone. La ricerca e soccorso (Search and rescue, Sar) in favore dei boat people non sembra tuttavia essere mai divenuta, come in Italia, un'emergenza nazionale.
L'Australia non ha comunque una Guardia costiera: le relative funzioni fanno capo, secondo un approccio orientato al contenimento dei costi, a un'autorità governativa che si avvale dell'apporto di varie istituzioni e in particolare della Marina.
All'origine di molte tragedie vi è peraltro una situazione simile a quella esistente tra Italia e Malta, cioè un'incertezza giuridica sulle competenze di Australia e Indonesia nella proprie zone Sar e sul luogo sicuro in cui trasportare i migranti salvati. Non a caso, l'isola di Christmas ricade nella Sar indonesiana proprio come Lampedusa è compresa nella Sar pretesa da Malta.
Trasferimenti forzati
Per risolvere il caso dei profughi del Tampa, nel 2001 l'Australia aveva negoziato il loro sbarco, dietro compenso, nell'Isola di Nuaru. Da allora Canberra ha continuato a concedere contropartite economiche ai paesi che accettano di ricevere rifugiati che hanno raggiunto il territorio australiano al di fuori dei canali ufficiali di immigrazione. Un recente accordo in questo senso è stato stipulato con la vicina Papua-Nuova Guinea dopo che l'Alta corte aveva annullato, per violazione del principio di non respingimento, una simile intesa con la Malesia.
Il governo australiano si attiene ora a una linea formalmente garantista: nessuna espulsione sino al momento del riconoscimento di uno status protetto, ma poi trasferimento degli interessati in stati aderenti alla Convenzione di Ginevra.
Critiche a questa politica sono state comunque espresse da più parti. Amnesty International ha definito inumano il trattamento riservato ai profughi trasportati in Papua Nuova Guinea nel centro di raccolta dell'Isola di Manus.
Cooperazione multilaterale
Mostrarsi intollerante nei confronti dell'immigrazione illegale ed evitare di essere considerata una facile meta sono state le preoccupazioni principali dell'Australia nell'ultimo decennio. I governi hanno affrontato il problema con provvedimenti drastici salvo modificarli di fronte alle proteste di settori dell'opinione pubblica.
L'esistenza di stati satelliti interessati a ricevere contropartite economiche ha facilitato la stipula di accordi di trasferimento. Unica spina quella dei difficili rapporti con l'Indonesia.
Giacarta sembra tuttavia accettare ora un approccio multilaterale che preveda il coinvolgimento dei paesi di origine e di transito, simile alla politica europea dell'immigrazione. Di qui il Bali Process, avviato nel 2002, che vede Australia ed Indonesia seduti allo stesso tavolo assieme agli altri paesi asiatici e alle organizzazione internazionali impegnate nel contrasto ai traffici illeciti e nella tutela di migranti e rifugiati (l'Italia partecipa come osservatore).
Dal Bali Process vengono interessanti spunti all'Europa. Esso è infatti fondato pragmaticamente su intese regionali non vincolanti di trattamento dei richiedenti asilo che prevedono il loro successivo rimpatrio volontario o la sistemazione in stati diversi da quello di ingresso.
Rimarchevole è lo sforzo di coinvolgere istituzioni internazionali nel raggiungimento di un accordo sui criteri di definizione del luogo sicuro in cui sbarcare i migranti salvati. La dimensione del servizio di ricerca e soccorso, come di recente emerso anche nell'Unione europea, pare però restare ai margini dell'esercizio, quale materia riservata alle competenze dei singoli stati.
Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo.